View Colofon
Original text "Un vuiet" written in RO by Lavinia Braniște,
Other translations
Proofread

Maria Gaia Belli

Published in edition #2 2019-2023

Un ronzio

Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Lavinia Braniște

In treno, nell’ultima tratta del viaggio, aveva visto attraverso il finestrino sudicio i margini del cielo. Si è alzato per guardare anche dall’altra parte del vagone e si è avvicinato all’uomo addormentato con il volto nascosto dietro la tenda e con la mano destra poggiata saldamente sopra la piccola borsa da viaggio, che stava sul sedile a fianco. Sì, anche dal suo finestrino la vista era uguale. Una coperta compatta, indaco, su un piano parallelo al campo esteso, pieno di vegetazione secca. E al suo margine, un azzurro chiaro e limpido, come un mare lontano, sospeso tra cielo e terra.

Da qualche parte, sopra la coperta indaco, c’era il sole.

Quando si è alzato, ha percepito d’un tratto l’agitazione del vagone, gli altri hanno avuto la sensazione che lui si preparasse a scendere, così hanno iniziato tutti come a un segnale a tirare giù i bagagli, a vestirsi, ad abbottonarsi.

Si è seduto al suo posto e ha controllato il telefono. Tre chiamate perse di suo padre e un messaggio vocale:

«Bogdan, quello che volevo chiederti…»

Gli chiedeva di nuovo cento lei in prestito, la tassa per una gara di pesca.

Il cardiologo gli aveva suggerito di andare a pesca.

Anche a casa, in cortile, c’era aria pulita, ma non per l’aria glielo aveva detto, quanto per la tranquillità.

Il cardiologo non aveva idea di quanta tranquillità ci fosse da loro.

Bogdan aveva detto ai suoi che sarebbe passato da loro tornando da Bucarest. Abitavano molto vicino alla stazione. Doveva installare di nuovo sul telefono del padre l’applicazione per la videocamera di sorveglianza del cortile.

Quando è sceso dal treno, ha cercato di nuovo i margini del cielo, ma non li ha più visti, e si è sentito d’un tratto oppresso, schiacciato dalla coperta ora nera, che sembrava non superasse il tetto della stazione.

Si è incamminato per il quartiere in cui aveva trascorso l’infanzia ed è passato vicino alla fabbrica di latte abbandonata da cui usciva sempre un aroma nauseante di vaniglia, visto che là, non si sa a quale delle finestre opache, dietro quale porta arrugginita, da qualche parte in quel rudere, si trovava un “laboratorio” di pasticceria. Prova ne era quell’eterno odore dolce e l’altrettanto eterno branco di cani, nutriti probabilmente tutta la loro vita a biscotti. Un branco troppo numeroso per fare da guardia solo a un laboratorio di dolci.

Bogdan era stato a Bucarest a una fiera di automezzi, a vedere dei veicoli per il trasporto dei maiali vivi. Era veterinario in una fattoria della regione e voleva da qualche anno staccarsi, come diceva lui, cioè avviare qualcosa in proprio. Avrebbe voluto gestire una piccola attività in cui non avrebbe più lavorato direttamente con gli animali e per cui avrebbe piuttosto utilizzato i dettagli amministrativi colti al volo nei dodici anni di lavoro alla fattoria, una delle più grandi del paese.

La situazione era, però, incerta a causa della peste suina che aveva causato un grande panico, dagli allevatori fino ai paesani che allevavano qualche maiale in cortile e che ora sacrificavano presi dalla disperazione.

E così questa fiera, che aveva atteso per circa quattro mesi e a cui era andato per inerzia, ora gli sembrava uno scherzo. La sua presenza lì era uno scherzo. Anche in un mondo senza malattie, sarebbe comunque stato impossibile ottenere un prestito per delle macchine.

Era stanco e turbato e le preoccupazioni di suo padre riguardo i laghetti da pesca erano irritanti. Non chiedeva molto il vecchio, solo un centinaio di lei di tanto in tanto, che gli chiedeva sempre di nascosto, senza che sua madre lo sapesse, chissà per quale ragione.

Quando è arrivato di fronte alla porta, Bogdan si è reso conto di non avere più la loro chiave all’anello. Si è ricordato di quando l’ha tolta, ma non sapeva più cosa ne avesse fatto. Ha suonato al campanello, ha guardato attraverso la recinzione e ha subito visto sua madre fiondarsi dalla porta e correre, con la vestaglia pesante di peluche, che metteva sempre per uscire, sbottonata.

«Non correre, che mi stressi!», ha gridato lui verso la porta di ferro verde.

Sua madre gli ha aperto contenta.

«Vi siete dimenticati che venivo?»

«Ma no, come dimenticarselo!», ha risposto lei.

«Non ti ho già detto di non correre più così? Posso aspettare un minuto in più, mica c’è un incendio.»

«E la chiave? Non ce l’hai?»

«L’ho dimenticata», ha detto.

Sua madre l’ha abbracciato e l’ha stretto fortissimo e ha chiuso gli occhi. Era piccoletta e gli arrivava solo al petto, lui ha abbassato la testa e ha guardato i suoi capelli bianchi e radi, che emanavano un profumo fresco di shampoo.

«Basta, lasciami andare», le ha detto.

«Perché?» si è sentita la voce della madre soffocata nel suo cappotto.

Bogdan ha sorriso e l’ha lasciata così ancora un secondo.

Non era più passato a trovarli da tanto, anche se viveva in città. Suo padre a volte andava a trovarlo, ma sua madre non era mai venuta negli ultimi due anni, da quando si era sposato con Alina.

«Dov’è papà?» ha chiesto lui. Non posso fermarmi molto.

«Credo sia alla palestra, da Mircea», ha risposto lei.


*


Con indosso una tuta spessa, con la giacca e il berretto in testa, Grigore si è seduto sulla sua panchina preferita, che guarda il Danubio. Tirava vento e gli piaceva stare con gli occhi chiusi e ascoltare lo scricchiolio dei pontili. Da lontano si sentivano i rumori metallici del cantiere navale. Si sentivano anche i gabbiani. E si sentivano anche le onde.

Lì si sentiva tutto alla perfezione, solo su quella panchina. Era l’ultima della fila sulla riva, le altre andavano in su, a monte, fino alla piscina abbandonata, in una zona con i tavolini di alcuni locali all'aperto dove scendeva comunque anche qualcosa della frenesia della città. C’erano ancora ragazzi sui pattini e persone che portavano a passeggio il cane.

Veniva ogni settimana da Mircea, l’amico di una vita, che era allenatore di boxe in una palestra vicino alla riva. Faceva volontariato con alcuni bambini.

Mircea aveva sessantotto anni. Grigore ne stava per compiere settanta.

Se c’era vento – e lì, sull’argine, la maggior parte delle volte c’era un vento meraviglioso –, Grigore scendeva a valle sulla stradina di ghiaia, verso l’edificio della stazione fluviale, che era stato a lungo un rudere, poi, ristrutturato, era diventato un casinò, mentre ora era chiuso col lucchetto. Passava vicino a una croce votiva decorata con fiori di plastica, davanti alla quale si trovava una fontanella che, stranamente, funzionava sempre. Se non c’era nessuno nei paraggi, si faceva un ampio segno della croce e beveva dalla fontanella, come se l’acqua fosse benedetta.

Grigore in vecchiaia era schivo con le persone.

Aveva una moltitudine di gesti che compiva di nascosto. Erano cose piccole e insignificanti e proprio per quello gli sembrava facile nasconderle, ma se ne erano accumulate parecchie.

Non voleva si pensasse che si era rammollito.

Era stato coraggioso in gioventù, ma il suo coraggio è stato limitato. Si è consumato in fretta.

Non era credente, ma sentiva una certa emozione quando passava vicino a una croce votiva. Una sorta di rispetto verso qualcosa più grande di lui, una forza che un bel giorno gli si mostrerà come un vortice e lo trascinerà in cielo. Così s’immaginava la morte. Come un innalzamento tempestoso e pieno di paure, ma un innalzamento, non un sotterramento. Una polverizzazione nella luce, non una decomposizione nelle tenebre.

Ogni tanto sentiva un ronzio nelle orecchie. A volte solo nell’orecchio destro, a volte in entrambe. Lo aveva avuto per tutta la vita, lo abbandonava e tornava periodicamente. Lo sentiva soprattutto la sera, prima di coricarsi, quando si metteva a letto e spegneva la luce e c’era così tanto silenzio che il ronzio gli inondava la testa. La maggior parte delle volte era come un monotono mormorio industriale, come un coro di macchinari grandi e pesanti che lavorano per conto proprio. Altre volte era come lo scorrere di un fiume potente, qualcosa di violento e pericoloso, che aveva la forza di provocare un danno irreparabile. Di distruggere qualcosa nel suo cranio.

Il rumore gli era tornato da qualche settimana e quanto più ci pensava, tanto più era potente. Si svegliava, d’istinto, coprendosi le orecchie, con un cuscino o con le mani, ma sapeva che non viene dall’esterno e che, comprimendosi la testa, non fa altro che stringere la corda attorno al collo di quel mostro che urlava ancora più forte.

Non ha mai fatto una visita medica.

C’erano problemi più grandi al mondo.

Aveva preso molti pugni in testa in gioventù, era impossibile che non gli rimanesse nulla.

Lì, sulla sponda del Danubio, c’era pace e allo stesso tempo c’era abbastanza rumore da non sentire più l’interno della sua testa e questo gli piaceva.

«Papà, perché sei uscito di casa, non ti ho detto che passavo?» gli ha chiesto Bogdan.

«Non ricordavo più a che ora arrivavi esattamente», gli ha detto nel panico. «Aspettami. Aspettami!»

«Aspetta, non correre», gli ha detto il figlio. «Ti lascio i soldi lì, sai tu dove. Alla cuccia del cane. E vengo un’altra volta per il telefono. Sei sul traghetto, dove sei?»

«C’è vento», ha detto Grigore. «Perché non mi aspetti?» ha chiesto deluso.

«Papà, sono stanco.»

Grigore non ha più detto nulla.

«Mi credi che sono stanco?» ha chiesto Bogdan.

E Grigore ha detto che sì, gli crede.


*


Strada Traian scendeva da piazza Traian fino al Danubio. Misurava qualche centinaio di metri, non era una via lunga, ma appariva molto diversa da un’estremità all’altra. Iniziava in centro, e nell'estremità superiore c’erano degli edifici alti e belli, che erano stati ristrutturati di recente, perciò apparivano puliti. Solo che, in questa città, i restauri non durano a lungo, l’imbiancatura inizia a scrostarsi in fretta. Quando avranno ristrutturato tutta la strada, probabilmente nella parte alta le facciate inizieranno a sgretolarsi di nuovo. Qui la rovina non si lascia mascherare.

Gli edifici in alto erano appartenuti ad alcune istituzioni che non esistevano più e, anche se avevano un bell’aspetto, erano vuoti. Seguiva un tratto con alcuni edifici decenti, poi, abbastanza velocemente, entravi alla zona decrepita della via, con case fatiscenti, inagibili, e aree piene di rifiuti. Alla fine di tutto, un edificio alto, socialista, abbandonato anche quello, squilibrava completamente il paesaggio.

Dopo, seguiva una croce votiva con una fontanella e, un po’ più a valle, il Danubio, che scorreva sempre a una velocità vertiginosa, da destra a sinistra, anche se dal modo in cui leggevi quello spazio, ti saresti aspettato che scorresse al contrario.

Il Danubio visto dopo un periodo di lontananza riusciva a capovolgere per qualche secondo la tua percezione dello spazio. Scorreva al contrario. E scorreva incredibilmente veloce per quel luogo immobile in cui ti si svelava.

La palestra di boxe dove Mircea teneva le sue lezioni con i bambini era in questa zona degradata della strada, al piano terra di una casa a due piani. Proprio sopra la porta rinforzata da alcune sbarre c’era un balcone che sembrava una torta tagliata, con tutti gli strati a vista, da questo uscivano mattoni e dai mattoni cadeva una polvere rossiccia. Nel pavimento del balcone cresceva un albero sottile e giovane e, anche se lo spazio sopra la sala era abitato, nessuno aveva ritenuto opportuno estirpare l’alberello, che sembrava un’albizia.

Tutte le volte che veniva a trovare Mircea, Valer scendeva dall’autobus 4 alla fermata di fronte all’hotel Traian, poi si incamminava su strada Traian. Sentiva già la corrente prodotta dal fiume ancora invisibile e guardando in giù tutta la strada sognava a occhi aperti come sarebbe stato se un giorno questa strada avesse portato il suo nome.

Desiderava davvero molto che una strada in città portasse il suo nome. Se l’era più che meritata.

Guardava le targhe sugli edifici e non doveva nemmeno chiudere gli occhi per vedere la scritta: “Valer Pataki, pugile”. Oppure: “Valer Pataki, pugile campione”. Oppure: “Valer Pataki (1952- ), campione di boxe”. No, senza l’anno di nascita, per non creare aspettativa sull’anno della morte. L’angelo nero non va invocato, pensava, non dobbiamo ricordarglielo.

Ora, però, scendendo su strada Traian verso la palestra, gli si stava piantando in testa una nuova idea: “Valer Pataki, pugile e scrittore”.

Il suo libro di memorie era quasi pronto. Di lì a una settimana doveva andare in tipografia a ritirare i suoi pacchi.

Voleva un lancio grandioso, in un grande ristorante della città, dove avrebbe invitato altri ex pugili della sua generazione da tutto il Paese, avrebbe dato autografi, chiamato la stampa e organizzato un evento dimostrativo con i giovani. Per questo doveva parlare con Mircea.

Questo lancio era diventato da qualche anno il suo più grande sogno ed era sul punto di realizzarsi. Aveva venduto un terreno in campagna per questo.

More by Andreaa David

Domani

La gente da queste parti è molto diffidente. Comunque dubita che in altri posti l’accoglierebbero a braccia aperte. La gente dalla sua parte. Quelli dell’altra fazione. Attorno a lei, non conosce coppie delle generazioni passate in cui i due siano amici e non nemici, anche se poi stanno insieme per sempre. Forse da qualche parte ce ne sono, che sono amici tutta la vita e anche dopo, ma pochi, estremamente fortunati e ben nascosti alla vista del resto, così che se ti guardi attorno, tu, che sei giovane, sei quasi certo che la persona al tuo fianco arriverà un giorno a mangiarti l’anima. Poi, se...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Lavinia Braniște

L'avvento

Le cose hanno preso una piega inaspettata una domenica mattina di agosto, quando i primi passanti di Place du Parvis Notre Dame, i dipendenti dei bistrot della zona, hanno intravisto l’oggetto, qualcosa di simile a una pallottola gigante poggiata al suolo con la punta verso la cattedrale e la parte posteriore verso la centrale di polizia. A una prima stima, il proiettile misurava circa venti metri in lunghezza e cinque di diametro. I barman e i camerieri si avvicinarono curiosi, ci girarono intorno una volta, fecero un’alzata di spalle e se ne andarono ad aprire i ristoranti. Questo verso le s...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Alexandru Potcoavă

La trilogia del sesso errante

Davanti alla porta della signora Nicoleta c’era tanta gente venuta ad accompagnare il signor Titi nel suo ultimo viaggio, signor Titi che, anche se alzava spesso il gomito, era un brav’uomo, uomo di buona compagnia, grande disgrazia per sua moglie, gente giovane, non sai mai cosa ti riserva il Signore, ma guarda ha avuto cura di lui la moglie, tutto il giorno con la pezza umida sulla sua fronte, e l’ha portato da tutti dottori, e guarda ora, con che orgoglio lo accompagna, vedessi il legno della bara, acero mi pare, e per tre giorni ha avuto donne in casa che l’aiutassero col pranzo funebre, e...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Cristina Vremes

Il raduno

Basta. Ho raccolto le mie cose, il completo nel portabiti, il calzascarpe e ho consegnato la chiave. Fino a casa ci vogliono sei ore di guida, ma la strada è più breve al ritorno. Abbasso il finestrino e, con la testa fuori, percorro sempre più velocemente il viale principale della città. Rinfrescata dalla sera e dalla velocità, l’aria mi rade le guance e mi ricorda l’asprezza di una spugnetta struccante. Ho una pelle sensibile e non sopporto facilmente il trattamento di cui sono oggetto i presentatori televisivi per non apparire come una luna piena sullo schermo – che gli si applichi sul viso...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Alexandru Potcoavă

Qualche minuto alla deriva

La giornata inizia prima del previsto. Avevo messo la sveglia alle 5.56, per diversi motivi. Volevo avere tempo per la meditazione dell’alba, e insieme, poter aspettare trenta minuti perché la pillola che migliora il funzionamento della tiroide facesse effetto prima del caffè, per poi iniziare una serie di esercizi che combinano lo smaltimento dei grassi alla tonificazione muscolare, usando solo il proprio peso, senza dimenticare, nel frattempo, di accendere il boiler, visto che l’acqua ci mette circa quattro ore a scaldarsi, il che mi lascia tempo sufficiente anche per finire la sequenza di ...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Cristina Vremes
More in IT

Comunione

– Sarà qui?  – Sul bigliettino c’è scritto questo indirizzo, ti dice niente? – Questo me lo ricordavo come uno spiazzo. Sarebbe più facile se sa pessimo il nome del ristorante.   – Te l’ha dato quando ti ha telefonato.  – Deve essere qui. Ci sono parecchie macchine, – risposi mettendo  la freccia, deciso a parcheggiare.  – Chiama tua sorella e ci togliamo ogni dubbio.  – Non l’ho conservato perché pensavo che non saremmo venuti.  Non conosco nemmeno la bambina.  – Sono stati gentili a invitarci. Può essere un buon momento per te  per... insomma…  – Lo so, lo so, – tagliai corto, non ero in ven...
Translated from ES to IT by Valeria Parlato
Written in ES by Roberto Osa

24

17 22 dicembre 2014, Diario de Vida     La natura spettrale di Plaza de España consisteva nel suo rispecchiare la magnificenza di una civiltà precedente, che nell’epoca moderna non aveva più senso.  Che se ne fa la forza colonizzatrice di una piazza così importante, pomposamente suddivisa nelle province spagnole, pensata per celebrare tempi passati? Le carrozze giravano attorno alla fontana, offrendo ai turisti di giocare alla nobiltà per pochi soldi. Bene, almeno qui non ci sono segway. Un cavallo sfruttò la distrazione del cocchiere, si liberò dal giogo e corse al galoppo verso la propria ...
Translated from SR to IT by Sara Latorre
Written in SR by Marija Pavlović

Calcare

Insomma, ci vuole un po’ di tempo perché si formi del calcare su un soffione della doccia come questo. Adesso che me ne sto appeso per metà nel corridoio e metà sulle scale, con il tubo della doccia avvolto attorno al collo, penso: se i miei amici avessero visto il bagno, avrebbero capito. Se fossero saliti tutti di sopra anche solo una volta, come Emma quel pomeriggio, avrebbero visto il soffione della doccia, avrebbero aperto e chiuso il rubinetto, avrebbero notato la parete di vetro della doccia sporca di calcare, i miei peli della barba rasati frettolosamente e abbandonati nel lavandino, e...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Lisa Weeda

A casa

Il mulino, il sentiero che porta al fiume, il pozzo, i cavalli, le mucche e il grano. I secchi crepati colmi di pomodori rosso sangue, i barattoli da conserva ben chiusi con le verdure messe sottaceto per l’inverno. Lo stretto corso d’acqua del Severski Don, che cuce i campi uno all’altro, stringe la Russia all’Ucraina, tiene insieme la cartina come fa il mio bisnonno Nikolaj con le giacche che impuntisce con ago e filo. Il vento nelle vele del mulino, le ragazze del komsomol sulla piazza centrale del paese. Ballano. Si prendono a braccetto, si tengono in equilibrio l’una con l’altra inclinan...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Lisa Weeda

Lieto fine

Mi ha svegliato la pioggia. Si è intrufolata nel mio sogno, all’inizio non capivo da dove venisse. Stavo nuotando nell’infinito del Pacifico. So che era il Pacifico, l’ho riconosciuto dai programmi in TV. Nuotavo attraverso il turchese e il cristallo. Dicono così nei reportage, turchese e cristallo. Dai fianchi mi penzolavano i nastri di perline con cui si allaccia il costume da bagno. L’ho visto nelle fotografie. Il mio primo costume da bagno, da bambina. Il cielo ha calato il sipario mentre ne sistemavo il nodo. Gocce pesanti mi cadevano sulla testa e sulle braccia tese, diventavano sempre p...
Translated from SR to IT by Sara Latorre
Written in SR by Jasna Dimitrijević

Non dare da mangiare alle scimmie

Luz aspettava da più di mezz’ora sotto il sole. Ogni tanto, percorreva  il marciapiede da un estremo all’altro per sgranchirsi le gambe e alleggerire il  peso della pancia. Gli occhi le si muovevano con rapidità tra le macchine che  circolavano per strada, soprattutto quando si sentiva un’accelerata. Ma  niente.  Decise di ripararsi dal caldo sotto la gronda dell’edificio. Fu allora  che, dietro un autobus, apparve zigzagando la piccola macchina rossa. Luz  vide Jaime frenare di colpo e suonare ripetutamente il clacson, come se l’a spettasse da un pezzo. Lei rimase un altro po’ all’ombra.  Il ...
Translated from ES to IT by Valeria Parlato
Written in ES by Roberto Osa