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Original text "Natalya" written in PT by Valério Romão,
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Published in edition #1 2017-2019

Natalya

Translated from PT to IT by Francesca Leotta
Written in PT by Valério Romão

Appena seppi che si trattava di evasione fiscale chiamai il mio commerciali sta 
Zeferino, ma che cazzo è successo, tu adesso spiegami che cazzo è  successo, mi avevi detto che era tutto sotto controllo, di ignorare le lettere  della finanza, che ti occupavi di tutto tu, ora mi devi spiegare che cazzo è  successo, 
e a Misé, a cui avevo regalato solo due giorni prima un anello di zirconi  molto decoroso, 
dobbiamo dare indietro il gioiello, principessa, poi ti spiego mi risciacquai lo stomaco con due calmanti e mezza bottiglia di vodka, mi  sdraiai sul divano e posai il portatile a terra a vomitare fogli Excel così che,  nell’eventualità di una visita, la mia sospensione dalla realtà passasse sem plicemente come quella stanchezza inevitabile che colpisce perfino i lavora tori più indefessi. 
Furono ore di sonno schizzettato di immagini disturbanti, la bambina che  vede il padre ammanettato e scortato alla macchina della polizia giudiziaria  dove si curano di proteggermi la testa mentre entro per evitare che li de nunci per maltrattamenti, come nei film, e Misé che tenta di contenere un  pianto incessante nelle braccia di un ispettore più propenso al conforto di  quelli che restano, la sentenza sommaria senza possibilità di ricorso, che  con l’IVA non si scherza mica, 
ci aspettavamo che alla sua età e con la sua storia contributiva lo sapesse,  signor Fonseca,  
e io a scaricare il barile su una serie di nomi: 
è stato il commercialista, gliel’assicuro, e c’entrerà qualcosa pure il direttore  finanziario, perché un uomo nella mia posizione cerca solo di tracciare la  rotta del futuro per l’impresa, non va a immischiarsi nei fogli di calcolo  della vita per provare a rubare qualche spicciolo allo stato, non ci riesce,  non ha tempo, 
ma il verdetto è rapido e non lascia adito ad alcun dubbio, colpevole,  minimo cinque anni ‒ con la buona condotta ‒ e la vita o quel che ne  rimane si sgretola senza clemenza nonostante tutta la storia dell’imprendi tore che aveva seminato posti di lavoro nella comunità.  
Mi svegliai con la vocina di Natalya che mi rimproverava 
signori, sa che dotoressa no vuoli chi signori dormi qui Inasprito dall’accozzaglia di luci che mi attraversa le palpebre, riluttanti alla  volontà di allentare l’abbraccio, e con Natalya che passa ripetutamente l’a spirapolvere intorno alla mia testa come se non ci fosse altra stanza e altra  polvere all’infuori di quei tre metri quadrati intorno al divano, io, rab bioso, 
hai visto la Crimea, Natalya, quel finimondo, quella vergogna,  Natalya, o sei ancora troppo occupata con quel tuo progetto di catalogare  sul blocco degli schizzi tutti i piselli di Olivais? 

guarda che l’ho già visto quel quaderno, Natalya, un Moleskine  dei cinesi che mi ha portato Maria Leonor con la punta delle dita, tutta tre molante, 
santoddio, santoddio, ma tu questo l’hai visto 
la mano sinistra a tapparsi quel sarcofago di bocca 
sono solo piselli, Leonor, piselli e basta 
ma hanno nomi e età, Zé, guarda qua in basso 
e indica i tuoi scarabocchi in cirillico  
tutti i piselli hanno un nome, Leonor, e noi non abbiamo niente  a che fare con la vita privata della ragazza 
ma tu pensi davvero che lei abbia visto già tutta questa gente  ha l’età per aver visto già molte cose, Leonor, ma vai a rimetterlo  dove l’hai trovato, chissà che ti prendi qualche malattia  
oh cielo hai ragione, santoddio 
e poi si infila dei guanti color salmone di quelli con cui si pulisce il  bidè e ti rimette nello zaino il compendio anatomico delle tue avventure in  terre lusitane, Natalya, pensa se fossero stati i bambini a prendertelo, le do mande che non ti farebbero quando li metti a letto, Natalya, scordati le  principesse magiche e il coniglio di Alice, i bambini sono bambini, hanno  l’impertinenza di chi mangia con i gomiti sul tavolo e in men che non si  dica demolirebbero quella corazza di angelo che hai concesso ai loro occhi  in cambio di baci e veglie nelle lunghe notti di morbillo o influenza, nell’e ducazione basta sbagliare una volta sola, Natalya, mezza volta appena, a  essere precisi 
pensi che dovremmo tenerla, Zé, una ragazza di questa età e già  così navigata? 
e io, sdraiato, a leggere un brutto libro e a fingere che sia tutto nor male, Natalya, tutti che dormono con tutti, in un’orgia da conigli l’importante è che la ragazza lavori bene, Leonor, e a parte questo i  bambini la adorano 
ma proprio per questo, Zé, pensa se lo scoprissero i bambini, lo  shock che sarebbe per loro, ci hai mai pensato 
ad argomentare contro me stesso ‒ tanti piselli, Natalya, una foresta  interminabile di uccelli ‒ solo per contrariare i sussulti puritani della dot toressa 
i bambini a questa età sanno già tutto quello che c’è da sapere,  Leonor, non facciamone un dramma 
e a chiedermi perché mi hai rifiutato perfino un misero pompino  oh signori metti dentro, dottori, metti dentro o io ci dico a doto ressa 
io che di buon grado lascerei anche Misé, due volte più vecchia di  te e non so quante volte più cara, se mi permettessi di portarti, settimana sì settimana no, a mangiare un gelato post-coito in un hotel dell’Estoril, da  dove si vede un mare che ci fa ancora più piccoli di quanto non siamo già  non l'ha mai più portato quel quaderno disgustoso, io rovisto  nella sua borsa tutti i giorni, ma comunque niente che tu avessi nel paesello da dove sei scappata, Natalya,  quell’enclave tra un lago impestato di fregate russe e il luccichio composito  dei bambini di Chernobyl 
oh Zé, e se quella gli fa pure le foto col cellulare e nemmeno te lo immagini quanto ci sei andata vicina a tornare  laggiù, diretta da qui a Portela e da Portela a Kiev, su un Tupolev verniciato  a pennellate, se non avessi convinto Leonor che sarebbe impossibile distin guere un pisello da un incidente stradale in una tua eventuale fotografia,  data la risoluzione del tuo cellulare rupestre con lo schermo delle dimen sioni di un francobollo, eppure lei puoi avere pure tutta la ragione del mondo, ma io non sto tran quilla. 
Quando il tribunale darà alla luce la dichiarazione di insolvenza saranno  già finiti da tempo i cavalli della domenica, le feste di compleanno a tema e  la sicurezza aristocratica della scuola privata. L’enorme mano della confisca  dei beni non mancherà di rovistare là dove nemmeno Maria José riuscirà a  ricordare di aver nascosto l’ultimo dei gioielli di famiglia. La casa sarà invasa da una banda di angolani che posteranno su Facebook le foto della  migliore vista sulla città fino al limite della noia. Tutto quello che abbiamo  adesso vivrà per sempre oltre ogni porta chiusa, in un’aritmia da spettro. Lascia che ti racconti della mia casa in un podere dell’Alentejo, Natalya. Di  come potremmo andarci insieme, ciascuno dei due in fuga dal proprio per sonalissimo inferno, io sarei capace di racimolare qualche spicciolo che ci  basterebbe fin dopo la mia morte se ci convertissimo al mantra della sem plicità, tu e io e quel tuo quaderno dove con mano da principiante disegni  in negativo speculare la carne più solitaria del mondo. Non ti garantisco  che disegneremmo tutti i giorni e con tanta dedizione, Natalya, e soprat tutto con tanta varietà tematica. A fatica accetterei una sbandata casuale  per il ragazzo tuo coetaneo che consegna il pane, e da me avresti la certezza  di un’anatomia pronta a corrispondere il tuo desiderio come solo un corpo  intero e giusto può fare, Natalya, e il massimo a cui potresti avvicinarti  della rumorosa implosione ucraina sarebbero i titoli dei giornali, che noi in  nessun caso compreremmo.

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