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Original text "Para não Te Ver" written in PT by Valério Romão,
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Published in edition #1 2017-2019

Per non vederti

Translated from PT to IT by Francesca Leotta
Written in PT by Valério Romão

Sai già che ho preso i bambini, i vestiti, le cose del bagno, il cibo biologico  diviso in piccole porzioni dentro contenitori di plastica di colori sgargianti  come quelli della Benetton, ho preso anche i loro libri, perché la notte è  solo con la lettura che riesco a far addormentare Rogério, e non di rado si  sveglia qualche ora dopo con un incubo che gli strozza il pomo d’adamo, e  io lo abbraccio, come abbracciavo te, Rita, quando facevamo un nido così  perfetto che a guardarci dall’alto ci si poteva facilmente confondere con  uno di quei simboli cinesi bianchi e neri dove si vedono spiegati l’immorta lità e l’infinito complementare, e lui nelle mie braccia fa un infinito solo  leggermente più piccolo e poi da lì poco a poco ritorna nel sonno, a volte chiamando te, Rita: mamma, mamma, e io gli devo dire la verità, per  quanto questo adesso lo ferisca, capisci, sono certo che capisci, in fondo il  futuro è pieno di divani su cui rigurgitare l’infanzia, non è come prima, che  ci portavamo dietro i traumi dalla culla alla tomba in una processione di ci catrici e io gli dico, a bassa voce, così fa meno male, mamma è cattiva,  Rogério, mamma, in realtà, è cattiva. 
Quando ho ricevuto la tua ultima e-mail, in cui mi trattavi con collera  come se avessi trovato in me il peggiore dei criminali, mi sono agitato  molto, Rita, perché non penso di meritarmi da te questo disprezzo corroso  con cui giudichi tutti i miei atti terreni, anche quelli (e soprattutto quelli)  che ci legano l’uno all’altra, ormai forse mai più nella forma di cornucopia  asiatica attraverso cui si interpreta l’infinito, ma nonostante tutto molto  vicini, quanto meno per i bambini e per il cane ti devo confessare che non taglierei di nuovo la zampa a Nero, è stato  un errore, a tutti i livelli, e ho già chiesto scusa ai bambini, e ne ho anche  approfittato per spiegare loro che cos’è il sangue e la sua importanza, e  come noi tutti siamo soggetti alle sregolatezze della sofferenza, senza preav viso, che non siamo né migliori né più intelligenti degli antichi greci sui  quali la vita cadeva torrenzialmente in un nubifragio di lame, e la bestiola in realtà non sta male, riesce a camminare, anche se sempre in prima, e la  zampa non mi è servita a niente, perché quando sono andato in posta, te nendola in tasca, per fartela recapitare, mi sono accorto che non avevo i  soldi per quelle buste imbottite e il tipo allo sportello non ha accettato di prendersela in un’altra qualsiasi: che si sarebbe strappata, diceva, vedi che  perlomeno dei professionisti esistono ancora e sento che forse dovresti tornare nel territorio abbandonato del  nostro recente passato e lì fare l’archeologia di quando ti piacevo, del come e del quanto, e anche se te ne andassi da là con in mano cose morte, almeno  in questo percorso potresti ricalcare la forma del nostro essere coppia e di ventare nei miei confronti, anche se non lo senti, affettuosa, e vediamo se  così non la smettono di succedere stronzate.

Oggi stesso, se per caso ti viene la curiosità di sapere cosa facciamo per di vertirci, mentre tu sei capace solo di rintanarti in casa a digerire questo odio  in e-mail che, per dimensione, somigliano più a somme teologiche e che  leggo solo fino alla settima riga, annoiato a morte dalla tua tiritera ripeti tiva, con la quale ricrei ciclicamente una supremazia sulla vita dei nostri  figli che io non ti riconosco vedi un po’ se non stanno bene con me, Rita, se non li so rendere  felici in un modo che a te sarà sempre inaccessibile, dato questo attacca mento all’etichetta pedagogica con cui ti hanno rovinato l’infanzia, Rita,  perché loro con me ridono, si sporcano e capitalizzano l’energia propria dei  bambini per andare alla ricerca dei piccoli di passero che piovono dagli  alberi e, uno a uno, gli torciamo il collo esile per salvarli dalla morte per  freddo o dalla bocca di un gatto, e tu non saresti mai capace di questo  perché ti fanno allergia le scelte che nascono dalla tensione tra gli estremi,  tu che in fondo sei una fifona, Rita, tu che urli con me solo perché sai che  ci sarà sempre nel mio corpo un organo calibrato per risuonare alla tua  voce, ma non pensare nemmeno un secondo che sono nelle tue mani, Rita,  perché io sono libero come la luce del sole e nemmeno il manto opaco della  notte sempre più scura potrà un giorno anestetizzare il mio eterno ritorno,  Rita e mi azzardo perfino a immaginarti, frenetica, dietro quel monitor e  disinteressata a sapere della nostra allegria, a sguinzagliare per casa i segugi  della polizia informatica e loro, fiutando gli indirizzi IP percorsi dai miei  messaggi, a tentare di triangolare la mia presenza in Spagna o ad  Amsterdam, proprio a me, Rita, che ho dato il biberon a firewalls di stati  democratici al tempo in cui noi eravamo felici e io ben pagato, e uscivamo  di casa in direzione delle Maldive come chi va a Badajoz a scoprire un sole  più pallido. 
Al di là di questo posto dimenticato da dio, Rita, come lo chiami nella tua  ultima missiva, digeribile solo fino a metà, quando ti esplode il delirio pos sessivo di voler chiamare tutto tuo, conduciamo la nostra vita irresponsa bile, secondo il tuo giudizio così precipitoso con cui hai esaminato e  compreso tutto, ma noi ci divertiamo Rita, quanto vorrei che potessi par lare con i bambini e te lo lascerei anche fare se non fosse che li intaseresti di  lagne e bugie, come quella prima e ultima volta, quando gli hai consigliato  di scappare da questo pazzo e di chiedere aiuto a estranei, Rita, Rita, che  razza di madre consiglia ai suoi figli di scambiare il loro padre con un ca mionista qualsiasi a cui piacciono i bambini e le bambine imberbi, Rita, ed  è per questo, lo sai, che non ti permetto più nemmeno un minuto al tele fono con loro, ed è molto triste dire che non mi fido di te, Rita, alla fine sei  ancora mia moglie, nonostante tutto, ma la verità è che non mi fido.

Se mi vedessi adesso, Rita, sbarbato come un ragazzino di trent’anni  o poco più, con bermuda o jeans, il contrario di quelle tute da lavoro per  dirigenti in cui mi rannicchiavo contrariato, adesso è tutto un sorridere,  Rita, una vita bella in cui il fantasma del quotidiano scolastico non tor menta la testa dei ragazzi, io ho venti anni in meno e loro dieci in più e ci  incontriamo in questo etere hertziano della più puerile adolescenza, e tutto  è permesso e tu, sciocca, non sei voluta venire, dopo che ti ho lasciato tanti  messaggi per supplicarti di farlo, di deciderti ad accettarci di nuovo nell’in tegrità di una famiglia, ma tu no, no, quando mi rispondevi in lacrime, che  non riuscivi a sopportare nemmeno il pensiero di farmi tornare a casa,  nella tua testa io ero una petroliera che disperdeva greggio ovunque pas sasse, e nemmeno le mie scuse insistenti ti hanno portata a ripensare,  almeno una volta, la natura precaria del passato e dei ricordi, sempre rela tivi a un punto di vista che tu, cieca, postulavi come assoluto. 
E l’averti picchiata non può essere la scusa per tutto, Rita, alla fine  mio padre picchiava mia madre, mio nonno picchiava mia nonna e anche  tuo zio perennemente rubizzo menava tua zia e, da quanto ne so, o tutte  queste persone continuano a stare insieme oppure alcune le ha separate  soltanto la morte, quindi non mi venire a dire che qualche livido occasio nale per disciplinare la tua sfrontatezza bastava per mettermi le valigie alla  porta sotto minaccia poliziesca, tu che cercavi per l’asprezza del tuo carat tere il confronto, e non tentare di farmi credere, Rita, che non sapevi come  suonasse o di cosa sapesse il confronto tra un uomo e una donna, soprat tutto quando questa insiste nella fantasia comunista di trasferire dentro  casa un’intera comunità per giudicare le decisioni che, in quanto prese tra  uomo e donna, solo a loro competono, ma tu perdevi la nozione di inti mità, a poco a poco, in un processo decadente di esposizione pubblica, al  panettiere mostravi, di sfuggita, un occhio rosso o un segno di sangue  pesto sul braccio, all’estetista, nel suo apogeo di vecchia pettegola, svelavi i  nostri problemi a letto, tutto per farti lisciare il pelo e perché tornassi a casa  confortata dalle ragioni altrui a cui ti appigliavi quando nel calore di una  discussione ti mancavano gli argomenti. 
Sono sicuro che sei stata tu a mandare a prendere i bambini, sono sicuro di  essermi distratto mentre reindirizzavo uno dei tanti messaggi con i quali ti  metto al corrente della nostra vita senza di te e tu hai approfittato dell’er rore e hai mandato un imbecille qualunque vestito da autoctono a pren derli in stanza, così per la disperazione ho strillato contro tutti i  receptionist, direttori e altri pezzi anchilosati di questa macchina centri fuga da cui sono stati sputati i miei bambini, ma non puoi sfuggirmi, Rita,  non posso che inseguirli fino a che non incontro te e loro, così vedrai come  di fronte alla libertà di scegliere verranno da me correndo come un cane verso il suo padrone, Rita, e ti macchierai della tua ultima umiliazione pub blica di essere rifiutata come madre, forse sarà meglio così, Rita, forse così  imparerai una volta per tutte. 
Sono giorni che non prendo le pasticche, per evitare di dormire, e ho  hackerato qualsiasi compagnia aerea con la speranza di vederli inseriti in  una lista di volo, anche se camuffati sotto la scorza di uno pseudonimo, e  niente, Rita, non so più cosa pensare, e allo stesso tempo mi rifiuto di ac cettare quello che mi dici nella tua ultima e-mail, nella quale ti sottrai,  ancora una volta, alla responsabilità di aver partecipato alla loro scomparsa,  e se proprio lo vuoi sapere Nero è morto, forse per quell’infezione che non  abbiamo mai curato, lo tengo lì ai piedi della porta come un salsicciotto di  quelli che non fanno passare l’aria, non so cosa dirò ai bambini quando mi  chiederanno di lui, magari possiamo inventare una bugia insieme, solo per  non vederli soffrire la gravità di un lutto, non pensi, Rita, che sarebbe  meglio, non pensi? 
Oggi stesso giurerei di averli visti vicino a una gelateria dove mangiavamo  sempre il dolce, non ci crederai ma quando li ho tirati per le maniche erano  improvvisamente altri, molto più grandi e scuri, e io non so dove sono  andati a finire i nostri, forse sei tu che li tieni lì e grazie alla complicità di  questa gente che mi detesta 
io vedo nei loro occhi il marchio dello straniero con cui mi segnano  ancora prima di allontanarmi dal cammino con una spallata fai una triangolazione speculare con tutte queste videocamere e pro iettori di sicurezza e ti intrattieni a fare un po’ di luce da tutte le parti, così  che io, in uno scatto felino, possa lanciarmi a caccia di questi spettri, a volte  mi colpiscono perché non capiscono il mio bisogno, il mio ardente deside rio di riavere con me i miei figli, ma tu capisci, no, Rita, e se capisci perché  continui a farmi questo. 
Sono arrivati e mi hanno portato via Nero e non mi hanno buttato in  mezzo alla strada solo perché sono straniero e ho ancora un po’ di soldi per  ungere le loro mani corrotte, oltre alla puntualità con cui pago il conto che  ingrassa ciclicamente e che io abbatto a colpi di Visa, va tutto bene qui  adesso, Rita, lo so, adesso le cose hanno un senso, come se l’odore del cane mi avesse impiantato una specie di foschia mentale rimossa poi improvvi samente e adesso riesco a pensare, finalmente mi è tutto chiaro, è un’epifa nia, ci credi. 
Quando li metto dentro la macchina loro pensano che mi succhie ranno l’uccello come fanno agli altri turisti ma io mi affretto a risolvere l’e quivoco con l’espressione vera di un sorriso, che non sono come gli altri, gli dico, e che non sarei mai capace di fare questo a un figlio mio, e loro riman gono mezzi storditi e alcuni provano anche a uscire dalla macchina, ma io  ho gli sportelli chiusi e il dorso della mano per ridargli la pace e il pianto, e  
ci allontaniamo per la strada e continuiamo fino a un’altra camera d’al bergo nella periferia della città e lì loro si calmano perché pensano, in  fondo, che la questione è ancora sessuale, e in questo territorio di conforto  loro abitano finché non li imbavaglio e li lego al letto, e a quel punto è  troppo tardi per piangere, per urlare, non gli resta che tremare come se  avessero freddo in questo paese che non diventa mai, proprio mai, freddo,  e io prendo un bisturi e comincio a tentare di scovargli sotto la pelle i tratti  di Rogério o di Rita, ho capito che loro non se ne erano mai andati da qui  quando ho cominciato a vederli dappertutto, e non c’è niente di illusorio  in questa operazione, solo l’abilità acquisita di vedere la carne sotto la  carne, e adesso so che loro sono dappertutto e si tratta solo di saperci fare che io non sono mai stato abile con le mani, come sai 
a restituirgli i tratti e, a volte, penso anche di esserci riuscito, ma  dopo tre giorni mi rendo conto dell’equivoco e devo disfarmi di quelli e  procurarmene altri, per fortuna qui questo è facile, non ci crederai, ti devo  solo chiedere un favore, Rita, l’ultimo, se hai un po’ di cuore, di mandarmi  una loro foto, per l’amor di dio, che ci sono giorni in cui tutti i tratti mi  sembrano uguali e altri in cui molti particolari mi sfuggono, e quindi,  quando li recupererò, ti farò anche parlare con loro al telefono, sai, se tu ri uscissi a capire la lingua, perché loro, crescendo, sono cambiati tanto, Rita,  sono cambiati tanto.

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