View Colofon
- "Very Important Person" translated to RO by Paula Braga Šimenc,
- "Very Important Person" translated to SR by Jelena Dedeić,
- "Very Important Person" translated to ES by Xavier Farré,
- "Very Important Person" translated to PL by Joanna Borowy,
- "Very Important Person" translated to NL by Staša Pavlović,
- "Very Important Person" translated to CZ by Kateřina Honsová,
- "Very Important Person" translated to PT by Barbara Jursic,
MariaGaia Belli
Very Important Person
Ci risiamo, anche oggi ho fissato tutto il giorno gli smaglianti numeretti sull’ascensore. 8… 7… 6… 5… 4… 3… 2… 1…
«Buongiorno, dottor Seljak.» Sempre, lo saluto, sono professionale nel mio lavoro, io.
Mi risponde col silenzio, anche lui è un professionista. Quando mi va bene, una ruga gli illumina il viso, altrimenti di pietra. Quando invece è lui ad avere una buona giornata, allora inarca il sopracciglio destro come a dire: «So bene che sei qui, ma ho pensieri da megadirettore, IO!».
Quante volte mi sono riproposto di lasciarlo in pace. Di rendere ignoranza per ignoranza. La mamma, però, mi aveva insegnato che la gente in giacca e cravatta va trattata bene. Le volte in cui era in casa. Di norma non c’era. Doveva sostentare sé stessa e me, e uno, per cercare di guadagnarsi qualche briciola di pane, dove potrebbe mai andare a cacciarsi se non in Germania? La mia passione per i treni risale ad allora. O treno portami via lontano... Salire sul proprio vagone, allungare le gambe davanti a sé, incrociare le dita e rilassare le braccia volgendo lo sguardo oltre il finestrino... E tuu-tuu, destinazione Monaco di Baviera.
Quando avverto il cigolio sotto il vagone, so di essere solo al principio e che il termine è ancora molto lontano. E meno male che i nostri treni sono antidiluviani e mi fanno venire in mente Francesco Giuseppe. Mi piace a me la Storia. Sono le conclusioni che non mi piacciono. Immagino le scintille prodotte dall’attrito tra le ruote del treno e i binari. Ho scintille anche dentro di me. Così intense, talvolta, che vengo avviluppato da vampate nefaste. Può andarmi anche peggio, posso riportare ustioni, una volta di grado basso, la volta dopo di grado più alto e poi finisco in ospedale, ma lì uno della mia pasta non ci vuole andare e da lì non potrebbero salvarmi con le buone neanche le guardie del corpo di Tito. Io voglio viaggiare. Ovunque, solo tra i camici bianchi, per cortesia, no.
Il dottor Seljak oggi era particolarmente accigliato. Forse la sua dipendente preferita non glielo aveva riverito come si deve, oppure forse qualche lobbista gli aveva di nuovo affidato una missione impossibile, che lui porterà senz’altro a termine con qualche viscido intrigo. Ci riesce sempre. Mi affascina la serietà del suo volto, inasprita ulteriormente dalle radici incarnite dei suoi nerissimi peli. Quei capelli tagliati con precisione che orlano le estremità di una calvizie ben curata, unitamente a quel suo sguardo di sfida, non solo gli conferiscono un’aria severa, ma danno anche l’impressione che sia la personificazione di una razionalità cui nulla può sfuggire. Potrà anche ingannare i suoi lacchè così, ma di certo non basta ad accecare gente della mia pasta, eh no. Noi abbiamo abilità speciali, per certi versi veggenti, con cui le smascheriamo subito le persone come il nostro caro boss. Quanto più duro è il suo volto, tanto più dura è la sua realtà. Guarda, ci sono giorni in cui riesco a vedergli dentro, e ci sono giorni in cui non vedo oltre le sue guance di marmo. E quando gli sbircio nelle viscere, vedo campi di hummus maleodorante e giusto qua e là qualche candida oasi di margherite, con un po’ di lavanda. Certo, sì, so bene che alle volte anche a me si annebbia la vista, perché mi rifiuto di vedere il caro boss diversamente da come ho deciso di vederlo. Con lui però non mi serve mostrare misericordia.
Ma che te ne parlo a fare di lui, già così ho fin troppi problemi. L’altra volta volevo viaggiare per la città. Volevo solo fare una passeggiata dal centro a punta Špica, laggiù, fino al punto in cui il fiume svolta e disegna un’ansa rivolta a nord; volevo lasciarmi attraversare i timpani dal canto delle cinciallegre e riposare gli occhi sulla distesa verde e pigra oltre cui, con lo sguardo, isolo ora un pesce, ora un altro. Lucci, salmoni del Danubio, carpe, cavedani, alburni, rutili… Non lo capisco proprio questo sport. Si accomodano sui gradoni di Plečnik e lanciano lenze in acqua, aspettando di catturare una preda squamosa anche tutto il giorno, per poi lasciarla tornare, viva, nel fiume. I paladini della natura, così si auto-definiscono. I miei protettori sono altri, invece. Almeno così mi sembra – qualche volta di più, altre volte di meno. Ogni tanto però ho la sensazione che non ci sia nessuno da nessuna parte e di essere del tutto solo al mondo.
Io quel giorno volevo solo andare fino a punta Špica, ma loro mi avevano seguito. Mi dicevano che sono una very important person. Certo, sì, so bene che lo sono, chi non lo è, ogni essere umano è very important, io però lo sono ancora di più. Infatti, quale altro comune mortale viene ancora protetto dai servizi segreti? L’avevo capito dal riflesso della luna sul fiume che mi stavano seguendo con l’elicottero, se li mandano così i segnali. Passando davanti alla sede centrale dell’Università, mi era tornato in mente il mio vecchio. Da questo balcone aveva tenuto un discorso parecchio famoso, non c’è libro di storia che non spieghi come si fosse messo a tuonare contro chi voleva distruggere la Jugoslavia.
Avevo proseguito e non ero più sicuro se sono Žarko o forse Mišo, oppure uno dei tanti bastardi di cui il mio vecchio non era nemmeno a conoscenza, oppure lo sapeva, ma fingeva di non sapere. Perché non mi aveva voluto conoscere? La mamma mi diceva che l’avevo visto solo una volta nella mia vita. Ero troppo piccolo per essere conscio della sua presenza. Portavo il pannolino da qualche mese scarso quando ci siamo incontrati per la prima e ultima volta in tribunale. Mi aveva riconosciuto, ma non voleva conoscermi. Almeno i soldi li aveva sborsati. Pare. Per un po’. Ma io non ce l’ho con lui. Avrei voluto conoscerlo davvero, però, non solo dalla foto sulla lapide nel cimitero di paese. Andare con lui in osteria, bere un bello spritz bianco e parlare tra di noi come due veri uomini, stando a quanto ho sentito dire ai corpulenti sapientoni.
Non so se mi evitava perché sono fatto di una pasta diversa – particolarmente nobile, come a volte mi sembra, o particolarmente spregevole, come mi sembra, invece, altre volte – oppure perché aveva già troppi figli. Un uomo ai vertici non ha tempo da perdere in quisquilie come passare il tempo con gracili bambinetti. Non ricordo neanche più che ruolo ricoprisse. Era il Presidente di Stato, primo comunista tra comunisti pari e primo partigiano tra partigiani pari, o era invece solo il capo-impianto della Litostroj, primo operaio tra operai pari, ai tempi in cui ancora si sapeva cosa fosse l’autogestione? Oggi sappiamo solo che è un qualcosa che già da tempo non esiste più, perciò non siamo neanche più così tanto sicuri sia mai esistita e noi poveri proletari di oggi ignoriamo cosa dovremmo e potremmo pretendere, figuriamoci se siamo in grado di organizzarci e di dare una spolverata sul groppone ai capitalisti. Abbiamo troppa paura e poi, ogni tanto, qualche bell’avanzo di bistecca succulenta ancora cade da tavola, a qualcuno grande, ad altri più piccolo, per questo osiamo spettegolare della gente come il nostro caro boss solo a mensa.
Ah, ma che mi misuro a fare con la lotta di classe. Meglio passare dalla parte degli imprenditori. Inizierò con una bancarella al mercatino delle pulci e finirò con una catena di ristoranti e investimenti in beni immobili, oppure vinco al lotto. Non importa. Non so ancora come, ma so che diventerò ricco. E allora ti compro un appartamento e pure uno yacht, così saprai anche tu com’è l’aria dell’oceano. Ora però offrimi un caffè e prestami cinque euro, se ce li hai.
Ti ho già accennato i miei dilemmi. La ricerca dell’identità, direbbe qualcuno, intanto che le teste dotte del nostro mondo escogitano un termine più orrido per questo fenomeno. Ma tanto non importa che parole usiamo. Quel che conta è che, alle volte, la dissociazione mi tormenta in maniera insostenibile, è così intensa che mi getterei nelle pigre acque del fiume. Preferisco, invece, di gran lunga buttarci dentro sedie, biciclette, cellulari… Che mi annego a fare, la vita è così bella. Soprattutto se hai qualche euro in tasca e la gente non ti scaccia via. Ma di solito io non ce l’ho. Il padrone presso cui il dottor Seljak mi ingaggia mi paga il salario minimo, gli straordinari retribuiti me li sogno, qualche volta mi scala persino il rimborso spese per i pasti e le trasferte. Certo, sì, so bene che mi ha assunto solo perché, grazie a me, lo Stato gli dà l’incentivo. Quando mi va bene, prendo l’indennità, ma il padrone in cambio pretende una percentuale. È anche vero, però, che non sono esattamente il risparmiatore modello. Soprattutto quando vengo sopraffatto da questa stramaledetta questione dell’identità. Allora il portafoglio soffre. E la gente di città mi evita ancora più del solito.
Ora già mi conosci un po’, sono un tipetto interessante, no? Se vuoi ti dico anche altro. Ti parlerò anche d’amore. Si aggira per la città. Ogni volta che la vedo, le voci nella mia testa iniziano a cantare The girl from Ipanema... La vedo camminare sul lungofiume, sulla Petkovšek, con un cane pastore al guinzaglio. La sua andatura è un misto di erotismo, sicurezza di sé e delicatezza. Ah la sua falcata... Ogni volta che allunga il passo, raddrizza il corpo, solleva la testa e va incontro al mistero... In quei momenti la maglietta, attillata, le si incolla ai seni, i suoi lunghi capelli castani ondeggiano piano piano e lei volge quel suo sguardo immobile verso un punto invisibile in lontananza. Ah, quanto mi piacerebbe entrare in questo enigma.
Mi ricorda il mio grande amore. Non tanto per l’aspetto, quanto per i mondi interiori che mi spalanca dentro. La gente della mia casta ci va a dormire tutti i giorni con la solitudine. Alcune donne, però, trovano interessante la questione dell’identità. E apprezzano eccome, perché a letto io sono una tigre quando volo oltre le nuvole. Spagnola, o mia bella spagnola, chissà dove sei adesso. Sento ancora l’odore dei suoi capelli mossi infinitamente lunghi, ho ancora davanti agli occhi la sfumatura brunastra della sua carnagione. Gli assistenti sociali, io e altri compagni di sventura eravamo andati a Salamanca a condividere le nostre esperienze. Per mezzo di qualche progetto europeo, e come sennò. L’intera economia dipende da ’sti maledetti progetti. I burocrati statali o gli eurocrati pubblicano il bando, i non governativi si scannano per una manciata di euro, mentre noi, i matti, i profughi e i poveracci di ogni tipo, siamo buoni solo a firmare pezzi di carta come “giustificativi dei fondi”. In cambio facciamo qualcosa, alle volte ci portano da qualche parte e ci mettono in mostra come facevano gli zingari coi loro orsi ballerini, ogni tanto ci danno addirittura qualche euro.
Non me ne pento, però, di quella firma. Mi ha portato a Maria. E a Salamanca. Non so, alle volte, se amo più questa donna o questa città. Mentre mi perdevo nel labirinto di vicoli, mi sembrava che dentro di me i farmaci si stessero sciogliendo, che stavo tornando in vita. Non sto vaneggiando. Tutto questo te lo potrebbe raccontare anche Unamuno. Com’era bello percorrere le stesse pietre su cui camminava lui. Tuttavia, non ti voglio svelare tutto già ora. Prima devi impegnarti che non scarterai la mia narrazione come fa la gente di solito con me. Spero che riusciremo a immergerci nel passato per poterci proiettare nel futuro e scoprire, insieme, chi sono in realtà.
Ah quante cose apprenderai sui nostri meravigliosi istituti assoluti. Hai mai sentito parlare di Hrastovec? E di Mijo, il mio compagno di lotta? A lui la battaglia contro burocrati d’acciaio, i farmaci e le mura dell’Istituto – l’ha annientato. E come poteva essere altrimenti. Non hai idea di quante ne ha passate! Anche io ne ho passate di cotte e di crude, ma sto ancora in piedi, in qualche modo. Io e Mijo siamo due veterani. A noi due la conversione alla normalità ce l’hanno inflitta ancora secondo il vecchio sistema, con metodi che non vuoi conoscere. Sei mai stato a Rog? Voglio bene a quelle mura scrostate dell’ex fabbrica, ai graffiti di cui sono ricoperte e alla gente che proviene da tutto il mondo, ancor più ne amo i pranzi gratis. Vacci. Quando entri nello spazio occupato, al cortile svolta subito a destra, vedrai un edificio al cui interno c’è un centro sociale. Cerca la sua foto sulla parete. L’hanno messo in bella vista.
So molte cose. Non solo a proposito delle mie di rappresentazioni e delle rappresentazioni dei miei compagni. Certo, sì, so bene che è proprio questa la parte più interessante di me, perché il voyeurismo è ovunque, ci circonda da ogni lato. Ma le mie conoscenze non terminano qui, e so anche cose che non dovrei sapere. Leggo. Viaggio – sia in senso metafisico sia in senso fisico. Osservo. Rifletto. Ascolto. Ricordo. Non vegeto. Vorrei fare lo storico o il geografo. Potrei fare la guida turistica, conosco questo paese come i palmi delle mani della mia spagnola. Non ci credi? Guarda fuori dalla finestra, là verso nord, dove le cime sono ancora un po’ innevate. Quella cavità tra le montagne è la sella di Kamnik, a sinistra c’è il monte Brana, a destra il monte Planjava. Pure il giornalista potrei fare, di sicuro sarei meglio della maggioranza di questi qua che lavorano nell’edificio che sorveglio. Sulle ultime notizie sono più aggiornato di loro. E cos’altro potrei mai fare durante l’orario di lavoro se non leggere i giornali? Leggo tutto. Potrei fare di tutto. E invece ogni volta costruisco, costruisco, costruisco e poi demolisco tutto in una sola botta. Come se stessi facendo un castello di sabbia sulla spiaggia per poi inciampare e calpestarlo tutto.
Sono molti i castelli di sabbia che ho distrutto, ma a smantellarli mi hanno aiutato anche gli altri. Se solo la gente non si limitasse a sentirmi, ma mi ascoltasse pure, le mie possibilità non sarebbero così scarse. Per me sarebbe anche meglio, ancora più facile, se il sistema fosse impostato in maniera leggermente diversa. Se non fosse solo per la maggioranza, ma anche per noi, per gli indesiderati. Allora sarebbe meglio per tutti. Ma se vuoi ottenere una cosa del genere, devi ribaltare la prospettiva e chiederti perché una data realtà è generalmente accettata come reale e un’altra, invece, no. Dopotutto sono realtà vere entrambe, solo che una realtà è irreale, e l’altra realtà è reale, giusto no? Perché ogni volta mi sembra di stare dalla parte sbagliata? Mi piacerebbe, eccome se non mi piacerebbe, anzi ci provo, ma non ci riesco. Il castello di sabbia non sopravvive mai.
Questo, però, è solo l’inizio, vedrai, la mia è una storia da film. Quando il mondo ne verrà a conoscenza, mi verranno a cercare da Hollywood. Anche meglio se mi contatta qualcuno tipo Lars von Trier, per girare il seguito di Idioti. Non è poi così male in fondo, chi non vorrebbe essere davvero un idiota? Da qualche parte nel profondo di sé stessi... La follia è la forma più pura dell’essere umano. Chiedi al principe Myškin se non ci credi. Quando mi squassa di brutto, mi dico che sto solo facendo quello che gli altri vorrebbero, ma non osano fare.
Deciditi. Svelto. Non ho molto tempo.