View Colofon
Translations
Proofread

Maria Gaia Belli

Published in edition #2 2019-2023

Gerico

Written in IT by Fabrizio Allione

[…]

I

[…]

La fattoria, così la chiamavano, si ergeva solitaria su un altopiano in cima a una bassa collina. Era una cascina di due piani, una costruzione in legno, rettangolare, stretta e lunga.

Dalla grande finestra del piano superiore, seduto sulla sedia a dandolo in corridoio, Jens osservava la campagna che si stendeva oltre il fiume. I suoi piccoli occhi neri non smettevano di muoversi, perlustravano l'orizzonte avvolto nel buio, attenti a qualsiasi dettaglio sospetto. Elia e Natan sedevano a terra, al suo fianco, giocando con dei modellini di macchine arrugginiti.

Si sentivano i rumori della notte – gli insetti, il frusciare delle foglie, gli ultimi muggiti nella stalla – e il cigolio della sedia a dondolo.

Nella mano destra, Jens impugnava un fucile a doppia canna, teneva accanto ai piedi una cassetta zeppa di proiettili. Di tanto in tanto, distogliendo lo sguardo dalla terra fuori, posava una mano sulla testa di uno dei suoi ragazzi.

Elia, la pelle chiara come madreperla, il capello biondo da essere quasi trasparente, gli occhi celesti, i lineamenti delicati. L'altro, Natan, il maggiore, uguale a lui in tutto: scuro, dinoccolato come un fuso, asciutto, ma di quel secco che si fa fatica a spaccare.

Elia azionò una macchina strusciandola più volte sul pavimento. La alzò e bloccò col palmo le ruote, per non far scattare la molla. Si piegò sulle ginocchia, si voltò in direzione della scala e fece segno a Natan di spostarsi.

Appoggiò la macchina sul pavimento, lasciò andare la presa e la osservò partire, accelerare, cambiare direzione e ruzzolare lungo le scale.

Rimbombò cadendo a ogni gradino, e quando raggiunse il piano di sotto la sentirono muoversi ancora per qualche secondo.

Elia sbuffò e fece per scendere.

Si sentì il cigolio della porta di casa, poi un rumore venire dalla cucina, come dei passi, ed Elia si fermò all’istante.

Jens si alzò di scatto stringendo il fucile.

«In camera», disse, «veloci».

I due fratelli non se lo fecero ripetere due volte. Si fiondarono in stanza, chiusero a chiave la porta e sbarrarono le gelosie della finestra.

In corridoio, Jens sentì ancora quel rumore di passi. Tanti passi. Teneva il fucile fermo tra spalla e mento, puntato verso il fondo delle scale.

Arretrò, avvicinandosi alla finestra. Lanciò un'occhiata alle sue spalle.

Un branco di cinque, forse sei lupi si aggirava nel cortile. La stalla e il pollaio erano in silenzio, gli animali sembravano non essersi accorti di nulla.

Con il piede destro, fermò il dondolio della sedia. Poi sentì scricchiolare i primi scalini. Stavano salendo.

Jens cercò con la mano libera qualcosa nella tasca dei pantaloni. Trovò un bullone, lo prese e lo gettò lungo le scale. Il tintinnio fermò le bestie. Jens approfittò di quella tregua. Si chinò appoggiandosi al fucile, si riempì le tasche di proiettili e si rimise in piedi.

Poi ripresero a salire. Eccolo, l'occhio rosso.

Il lupo aveva allungato il proprio muso verso la luce della luna che filtrava volpina dalla finestra.

La canna del fucile di Jens puntava dritto verso la bestia.

Era un lupo emaciato, spettrale. Aveva sui bordi del muso segni di una ferita non rimarginata. Digrignò i denti e lo squarcio sulla parte destra mise in mostra la dentatura rovinata ma ancora letale.

Drizzò il pelo e fece ancora qualche scalino verso l'uomo.

Jens teneva il dito saldo sul grilletto, le pupille sgranate e immobili, non sbatteva le palpebre. Notò dietro altri occhi rossi. Erano due, ora, sulle scale.

Aspettava. Aspettavano.

Il primo lupo continuava ad avvicinarsi ringhiando e mostrando le zanne.

Quando mancavano pochi metri dall'uomo, le gambe nervose dell'animale si mossero in uno scatto convulso e Jens premette il grilletto.

Colpì la bestia mentre saltava, con le zampe a mezzo metro da terra. L'impatto col proiettile scaraventò il corpo della bestia contro il muro. Una macchia di sangue sbrinciò la parete.

Jens non si scompose. Rimirò verso il lupo subito dietro e sparò un nuovo colpo. Il secondo animale non fece in tempo a saltare, rimase coricato sulle scale. Jens notò altri lupi pronti a salire. Si gettò su di loro brandendo il fucile come una lancia. Riuscì a sventare l'attacco di un altro animale, ferendolo più volte alla testa, fino a spaccargliela. Prese dalla tasca altri proiettili e caricò rapidamente l'arma, senza panico, senza sbavature.

Scese di corsa le scale superando le carcasse morte e vide tre lupi tremolanti nella penombra della cucina. Colpì al collo quello più vicino e corse verso gli altri, che fuggirono.

Raggiunse l'uscio di casa e quando si accorse che non c'erano più bestie, chiuse la porta e tornò indietro.

L'ultimo lupo a cui aveva sparato era steso su un fianco, incapace di rialzarsi. Si contorceva in spasmi scomposti. Mezzo morto, ansimava feroce, aveva ancora l’ardire di ringhiare. Tentò più volte di rimettersi sulle zampe. Incespicava, cadeva, si agitava come scivolasse sul ghiaccio. Cercò di mostrare le zanne, ma non fece altro che strusciare il muso nel suo stesso sangue.

Jens si avvicinò e lo finì con un colpo alla testa.

Era una femmina. Aveva le mammelle morsicate e consumate, segno della fame dei suoi piccoli.

Jens salì le scale, andò a chiamare i figli. Prima di mettersi a letto, pulirono casa con la precisione dell’abitudine.

[…]


VIII

Quante volte Jens si era detto che avrebbe spiegato tutto ai suoi ragazzi. Un giorno, si diceva, un giorno racconterò loro ogni cosa. Dell’uomo e della donna, di ogni cosa nel mondo. E si sarebbe scusato, avrebbe detto che aveva taciuto per proteggerli. Che era il suo compito, proteggerli. Era una promessa che aveva fatto tanti anni fa e non voleva venirne meno. Avrebbe raccontato di Ailin, avrebbe raccontato che anche loro avevano una mamma. Una donna che li aveva portati in grembo per miracolo e poi li aveva partoriti, li aveva allattati, li aveva trasportati dal mondo immateriale a quello materiale. «E dov’è ora, nostra madre?», avrebbero chiesto, e lui, lui cosa avrebbe risposto? Era davvero un dono, quella verità? si chiedeva. C’era solo dolore in quella storia, e aveva deciso di tenerla per sé, di farsene carico; una punizione. Poi, ancora, pensava che avrebbe dovuto raccontare che non tutti i bambini crescono seppellendo cadaveri, che non è una cosa che fanno i bambini, che non è una cosa che si fa, che i fiumi non portano carcasse di esseri umani. Avrebbe dovuto raccontare perché e da dove veniva quella fiumana inesorabile di morti, e perché ne aveva paura e dovevano bruciarli. E così aveva continuato a tenerli all’oscuro, a imprigionarli in quel piccolo mondo dove il male poteva essere maneggiato, controllato, fatto a pezzi e nascosto dentro ad altro male e poi sotterrato e dimenticato, almeno per un po’. Non aveva nemmeno insegnato loro a leggere perché, pensava, leggere è la chiave di tutto, modifica ogni pensiero. Quando impari che c’è una conoscenza che può essere trascritta e conservata per sempre, che esiste una memoria che non si cancella, allora non accetti più nulla, e tutto diventa un segreto da svelare, da interpretare. Smetti di credere come un bambino che si beve tutto e cominci a fare domande e a non accontentarti delle risposte. Impari che la verità è un gran casino, esiste solo un passo più avanti, e poi un altro passo ancora, e poi un altro ancora, sempre più avanti, finché non capisci che la verità è irraggiungibile e forse nemmeno esiste.

Quanto poteva ancora reggere quell’incantesimo? si chiese.

Pianse, pianse in silenzio. Non riusciva a fermare le lacrime. Solo lacrime, nient’altro. Gli scivolavano sotto i polsi, sul mento.

In quella notte fredda, di pioggia e vento, alla luce delle lampade tremolanti, con in cuore le preghiere per un uomo morente, seduti a terra, raccolti come vecchie figure di un mondo sepolto dai secoli e dimenticato per il bene di tutti, c’erano un padre e i suoi figli e il mistero dell’esistenza, la fragilità e la resistenza bovina di ogni creatura, il tempo che divora e quello che cura.

Quando fu notte fonda, dormivano abbracciati nel buio.

Il temporale era passato, un lupo ululò alla luna nuda e selvaggia.


IX

Natan si svegliò. Jens non c’era. Elia era coricato a terra, una coperta gli copriva le gambe. Stropicciò gli occhi, guardò l’alba, il sole che cominciava ad arrampicarsi e farsi largo nel cielo.

Sentiva il profumo del caffè. Sul tavolo c’erano i rimasugli di un pasto veloce. Si alzò, andò al tavolo.

Nel piatto c’era ancora una fetta di pane, solo il bordo, e una spruzzata di marmellata. Ora aveva fame, gli pareva di non mangiare da giorni.
Il caffè era freddo. Si riempì una tazzina e bevve. Gli rimescolò il vuoto nello stomaco.

Si preparò un uovo sodo. Tagliò col coltello qualche fetta da una coscia di lupo essiccato e la passò in pentola col burro, da un lato e dall’altro, per ammorbidirla. Si sedette a tavola e mangiò come se quello fosse il primo pasto da anni.

Pensò a sua madre.

*

Jens era in cantina, accanto a Fratello Efraim. Sedeva con le braccia incrociate e le gambe distese. Guardava l’uomo sull’altare con la compassione di un paracleto.

«Jens», sussurrò Fratello Efraim. Roteò gli occhi, fece un lungo respiro, rantolò e tossì.

«Jens», ripeté.

Jens si avvicinò. Girò il panno umido che gli aveva appoggiato in fronte. «Cosa c’è?» chiese. La febbre era sempre più alta, lo faceva delirare.

«Come sta la bambina?»

Jens gli strinse il polso. La pressione era bassa, il battito quasi impercettibile. «Sta bene, non preoccuparti», lo rassicurò una volta ancora.

«Dov’è?» si voltò verso l’uomo che lo stava accudendo e accompagnando nel buio a venire, «È sopra coi ragazzi?» Jens annuì. «Bene», Fratello Efraim sospirò. «Cosa gli hai raccontato?»

Jens si avvicinò la sedia. «Tutto.»

«Tutto?»

«Tutto quello di cui avevano bisogno.»

Fratello Efraim chiuse gli occhi. «Come hanno reagito?» chiese. Riaprì gli occhi.

«Non lo so. Credo che in qualche modo bizzarro sapessero già. Erano piccoli, ma qualcosa devono pur ricordarsi.»

«Può darsi», commentò Fratello Efraim. «I bambini capiscono cose che nemmeno i santi riescono.» Rimase un attimo in silenzio. «Jens», continuò, «voglio chiederti una cosa. Ti sembrerà strana, ma voglio che tu la faccia per me. So che non dovrei averne, ma ho paura.»

Jens si sporse sulla sedia, attento. «Dimmi.»

«Ricordi che a Bet-Semes, quand’eravamo a scuola, nei dormitori, eravamo piccoli, appena lasciata la Casa delle Madri, c’era una canzone che cantavamo prima di andare a dormire, ricordi? Erano poche strofe e uno stupido ritornello in rima», Fratello Efraim scoppiò in una risata rauca e spaventosa che sembrava appartenere già al mondo dei morti, «la ricordi, Jens?»

«Certo che la ricordo», replicò divertito, «ogni tanto mi ritorna in mente e non riesco più a chiudere occhio. Perché me lo chiedi?»

«Vorrei che me la cantassi, ho dimenticato le parole», disse Fratello Efraim. «Il solo pensiero di risentirla mi dà pace. Lo faresti per me?»

Jens rimase un attimo in silenzio, poi si riprese. Andò alla porta e la chiuse. Tornò all’altare, avvicinò la sedia e si schiarì la gola. Ripensò alle prime strofe, fece finta di essersele dimenticate ma le ricordava tutte, come fossero incise nella parte interna delle palpebre.

«Pensa di cantarla a Natan o Elia», l’incalzò Fratello Efraim con l’ultimo filo di voce, «Non sei qui. Fa’ conto di essere con Ailin e i ragazzi, una piccola casa di fronte al mare. Che siate gli ultimi uomini sulla terra. Fa’ finta che sia un canto di gioia.»

Jens chiuse gli occhi. Si fece coraggio e cominciò a cantare. Gli sembrava tutto così ridicolo. Poi guardò il volto di Fratello Efraim, sereno come un neonato che sta per addormentarsi, e allora continuò quella stupida canzone credendo a ogni singola parola che cantava, preghiera o profezia che fosse.

Strinse la mano dell’amico e sentì la vita andarsene in mezzo alle note di quella ninna-nanna stonata.

More by Fabrizio Allione

Tornando a casa

Mentre rientrano in macchina, lasciando la città, lui tenta di sdrammatizzare dicendo che è stata una di quelle situazioni impossibili che chiama Tu-cosa-faresti-se? Lei annuisce. «Queste situazioni non sono il tuo forte», commenta. «Cosa vuoi dire? Più di così, non so che cazzo avrei dovuto fare.» «Non dire parolacce, ripete tutto quello che dici.» Anna dà una scorsa alle sue spalle. Marco è crollato sul seggiolino. «Vuoi dirmi cos’ho fatto di male?», chiede lui dopo un po’. «Davide, sei andato fuori di testa. Ti sei messo a fare a botte con il vetro. Se non ci fossi stata io, sar...
Written in IT by Fabrizio Allione
More in IT

L’apprendimento

Quando ho costruito il primo, credevo di aver creato un capolavoro. Come un pittore quando finisce il dipinto d’esordio della sua carriera, che rinnegherà con la stessa veemenza con cui l’ha riconosciuta come sua inizialmente. L’ho fatto a mia immagine e somiglianza e, quando per la prima volta gli ho visto la vita negli occhi, è stato come guardarsi allo specchio. Solo grazie all’asincronia del riflesso ho sciolto l’equivoco. Non sono stato modico nelle abilità che gli ho attribuito: forza, agilità, spirito combattivo, una straordinaria capacità strategica. Nonostante questo, ci ho messo solo...
Translated from PT to IT by Francesca Leotta
Written in PT by Valério Romão

La Metro

Lunedì mattina sentì la metro entrare in stazione non appena introdotta la tessera nel dispositivo e, sebbene non fosse in ritardo e anche se lo fosse stato, non c'era alcun problema, tuttavia fu colto dall’improvviso desiderio di prendere quella metro, un desiderio che non era tanto una voglia, quanto una bizzarra smania di vendetta, e si scaraventò giù per le scale. Successe però una cosa molto strana. Come si suol dire, nel momento in cui muori, che la vita intera ti passa davanti agli occhi, in quei pochi secondi, quanti ne servirono a T. per salire tutti i gradini, gli passò per la mente ...
Translated from RO to IT by Maria Alampi
Written in RO by Cătălin Pavel

24

17 22 dicembre 2014, Diario de Vida     La natura spettrale di Plaza de España consisteva nel suo rispecchiare la magnificenza di una civiltà precedente, che nell’epoca moderna non aveva più senso.  Che se ne fa la forza colonizzatrice di una piazza così importante, pomposamente suddivisa nelle province spagnole, pensata per celebrare tempi passati? Le carrozze giravano attorno alla fontana, offrendo ai turisti di giocare alla nobiltà per pochi soldi. Bene, almeno qui non ci sono segway. Un cavallo sfruttò la distrazione del cocchiere, si liberò dal giogo e corse al galoppo verso la propria ...
Translated from SR to IT by Sara Latorre
Written in SR by Marija Pavlović

I bambini scrittori

Quasi tutto quello che è accaduto quel giorno è successo qui. Il mio  dito indice punta alla testa. Molti anni dopo, mentre porto mio figlio a sco prire il ghiaccio, ricordo ancora tutti gli avvenimenti di quell’unico giorno  come “la fucilazione”.   Non morì nessuno. Le persone erano pericolose, soprattutto i bam bini piccoli, appesi agli alberi, i piedi penzoloni ‒ e era dalla lingua in  mezzo alla bocca che sarebbero venuti i crimini peggiori.  Ascoltare fa male, camminare è un trucco. Camminiamo. Perfino i piccoli dittatori invecchiano. I figli coabitano la terra con i  padri, da milioni, ...
Translated from PT to IT by Francesca Leotta
Written in PT by José Gardeazabal

L’esilio

Il letto era come una nave che solcava le onde della notte. Loro due abbracciati, sembravano condividere la sostanza di un'onda scura, ogni tanto attraversata da un raggio di luce. La nave galleggiava lentamente piena di mistero, e tutt’intorno il paesaggio sembrava un'estensione infinita delle acque, senza che però fosse spaventosa. Si erano ritrovati da poco tempo. Ogni tanto giocavano a tennis. A volte, dopo la partita prendevano una birra. Questo tipo di amicizie brevi era tipico degli impiegati solitari che erano stati trasferiti in quella città. Di solito preferivano trasferirci gli i c...
Translated from RO to IT by Maria Alampi
Written in RO by Anna Kalimar

Qualche minuto alla deriva

La giornata inizia prima del previsto. Avevo messo la sveglia alle 5.56, per diversi motivi. Volevo avere tempo per la meditazione dell’alba, e insieme, poter aspettare trenta minuti perché la pillola che migliora il funzionamento della tiroide facesse effetto prima del caffè, per poi iniziare una serie di esercizi che combinano lo smaltimento dei grassi alla tonificazione muscolare, usando solo il proprio peso, senza dimenticare, nel frattempo, di accendere il boiler, visto che l’acqua ci mette circa quattro ore a scaldarsi, il che mi lascia tempo sufficiente anche per finire la sequenza di ...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Cristina Vremes